Solo l’ultimo di una lunga serie…
Questa volta a far nascere l’ultima polemica sulla Resistenza sono state le celebrazioni per il centenario del palazzo del Viminale. Per questa occasione, infatti, è stato presentato un filmato – prodotto dalla Rai, anche se non siamo riusciti a capire di chi sia stata la consulenza storica – in cui il periodo ’43-’45 della storia d’Italia è stato definito come “guerra civile” (leggi). Subito gli scudi si sono levati dall’Anpi e dal “mondo politico”, ovvero da Pd, Idv e addirittura Fli: i quotidiani di centrosinistra hanno definito l’uso di questa espressione come “gaffe”, “errore storico”, addirittura “clamoroso strafalcione storico” (vedi). Ma è davvero così?
Da parte nostra, abbiamo più e più volte affermato che siamo d’accordo con l’interpretazione di Claudio Pavone, che vede nella Resistenza una guerra di liberazione nazionale, una guerra di classe e anche una guerra civile (leggi). Parlare addirittura di errore storico ci sembra eccessivo. Sono – a nostro avviso fortunatamente – finiti i tempi in cui la definizione di “guerra civile” richiamava solamente l’opera del missino Giorgio Pisanò, che l’aveva scritta per riconoscere pari dignità ai fascisti. Vent’anni e più di ricerca storiografica hanno riconosciuto che la Resistenza fu anche guerra civile, una guerra civile iniziata nel ’20-’21 e finita solo nel ’45, una guerra civile che – come tutti i conflitti fratricidi – è stata caratterizzata da quel “di più” di violenza che si è poi manifestato, prevedibilmente, nell’immediato dopoguerra, in quelle eliminazioni di fascisti per cui, lo diciamo chiaramente, non proviamo alcun rimorso. Come abbiamo già avuto occasione di dire, consideriamo l’interpretazione di quanti hanno sempre negato che si sia trattato anche di guerra civile parzialmente responsabile della mancata comprensione del dopoguerra, di quella mancata comprensione che ha aperto le porte al revisionismo.
Questo non vuol dire, ovviamente, che consideriamo completamente corretta l’interpretazione del filmato istituzionale: si è trattato, evidentemente, di un filmato superficiale e parziale, perché delle tre caratterizzazioni della Resistenza di cui abbiamo parlato sopra si è presa in considerazione solo quella che poteva far più piacere ai fascisti. L’omissione più importante, tra l’altro, riguarda probabilmente il dopoguerra: non una parola, infatti, sembra sia stata dedicata ai sette anni (1947-53) di repressione antipopolare, antiproletaria e anticomunista che è stata portata avanti da Scelba, con un conto di morti, feriti, arrestati e leggi eccezionali che non aveva nulla da invidiare al regime fascista.
Davvero paradossali, però, sono stati i commenti del cosiddetto “mondo politico” di cui parla “Repubblica”. Lasciando stare l’Anpi – che ha sempre negato la definizione di “guerra civile”, giungendo a dichiarazioni forzatissime come quella di Carlo Smuraglia che nella stessa frase dice che si è combattuto contro la dittatura fascista, quindi contro altri italiani, e nega la definizione di “guerra civile”, sminuendo tra l’altro le responsabilità dei fascisti in molti episodi di stragi e deportazioni – suonano davvero ridicoli i commenti degli esponenti del Pd, che come al solito si strappano i capelli solo pensano che questo sia un buon modo per screditare Berlusconi e il suo governo, salvo comportarsi allo stesso modo quando al governo ci sono loro.
Farebbe davvero ridere, se non si parlasse di una tragedia culturale, vedere infatti che a criticare la definizione di “guerra civile” ci sono esponenti dello stesso partito di quel Luciano Violante – uno che è stato nel Pds, dei Ds e che oggi è del Pd: un cursus honorum davvero completo – che, nel suo discorso di insediamento come presidente della Camera nel 1996, chiese di riflettere sulle ragioni che portarono molti ragazzi a scegliere la Repubblica di Salò: si trattò di un vero punto di non ritorno che aprì la strada dell’equiparazione tra repubblichini e partigiani. Significativo poi che il centrosinistro Violante fece appello alla comprensioni delle ragioni dei ragazzi di Salò, mentre dodici anni dopo il centrodestro Fini, nella stessa occasone, parlò di una memoria condivisa a partire dalla Resistenza: al di là dell’ipocrisia di Fini, come al solito i danni maggiori li fa il centrosinistra.
Per non parlare, poi, di quando nel 2001 il presidente Ciampi, il nonnetto che ogni esponente del Pd vorrebbe avere, pensò bene di esprimere la sua comprensione per i ragazzi di Salò, che sbagliarono – secondo lui – credendo di servire la Patria. Ulteriore passaggio verso l’equiparazione, che tra l’altro – probabilmente per rispetto istituzionale – fu avallato anche dall’Anpi e da Rosario Bentivegna (leggi). Un’equiparazione che ha portato i repubblichini ad essere visti non più come “figli di stronza”, come li definiva sessant’anni fa Elio Vittorini, ma come “quindicenni sbranati dalla primavera”, come li descrive romanticamente oggi Francesco De Gregori, cantautore tanto amato dal centrosinistra.
E vogliamo concludere la carrellata di questi veri, osceni ed eclatanti, “errori storici” dei piddini parlando di quanto nel 2005 affermò, pur riconoscendo la dimensione di guerra civile, Massimo D’Alema, esponente a tutt’oggi autorevole del Pd, secondo cui Mussolini non andava fucilato (leggi). Un caso palese di come, nel Pd, della Resistenza non ci capiscano un cazzo. Insomma, se davvero parlare di guerra civile fosse un errore storico, sarebbe solo l’ultimo di una lunga serie, inaugurata dal centrosinistra…
Davvero significativo, poi, che “Repubblica” celebri con gusto i giudizi critici sul filmato del Viminale di Italo Bocchino (leggi), uno che da giovane stava nel Msi e nel Fuan – per poi passare armi e bagagli in An, nel Pdl e infine in Fli (cursus honorum completo anche per lui) – che oggi ha il coraggio di dire, solo per accreditarsi (con successo, dobbiamo ammettere) presso il centrosinistra – che si tratta di una definizione parziale: proprio lui, che con gli eredi della Rsi ci ha militato fin da giovane.
L’ultima parte dell’articolo è poi davvero imbarazzante per l’intelligenza umana. Come nelle “migliori” puntate di “Porta a Porta” vengono infatti riportate le battute in par condicio di due storici di sinistra (Giovanni De Luna e Marco Revelli) e di uno di destra (Alessandro Campi, finiano anche lui, direttore scientifico di FareFuturo, di cui tra l’altro non si ricordano contributi storiografici particolarmente significativi). Come se la storia e le interpretazioni storiografiche potessero essere ridotte al cicaleccio politico a cui anche “Repubblica” ci ha abituati.
In questo feeling sentimentale, sempre più evidente, tra Pd e Fli, nessuno però ha avuto il coraggio di dire una parola su altri discorsi molto dubbi pronunciati nel corso della celebrazione, come quello di Giorgio Napolitano. Non pago di aver da poco condannato i manifestanti contro il Tav come “violenti eversivi”, durante la commemorazione del Viminale si è lasciato andare in sperticate lodi della Polizia italiana, che vede come impegnata nella «tutela dell’esercizio delle libertà e dei diritti dei cittadini. Questo è oggi e questa è stata sempre la polizia, nonostante la tendenza a darne rappresentazioni riduttive e in qualche caso persino denigratori». E noi che ne conosciamo una storia fatta di cariche, manganelli, arresti arbitrari, violenze ed omicidi! Magari siamo eversivi pure noi… o magari, sinceramente, siamo abbastanza disillusi dal sapere che non possiamo aspettarci niente di affine ai nostri ideali nelle celebrazioni del Viminale o nelle parole di Napolitano.