sulla crisi del berlusconismo… e sulla nostra
Con ogni probabilità domani il governo Berlusconi supererà indenne il passaggio parlamentare richiesto dal presidente NATOlitano. Eppure la crisi del berlusconismo è ormai profonda ed irreversibile. Gli scricchiolii che fino a poco tempo fa la annunciavano sono divenuti ormai dei tonfi sordi e sotto l’intonaco di quella che fu la casa delle libertà le crepe si sono fatte strutturali. A determinale, però, non è stata l’opposizione sociale nè, tantomeno, quella parlamentare. E’ forse questo il dato su cui, in maniera autocritica, dovremmo riflettere colletivamente. Perchè a far implodere il blocco sociale che per quasi un ventennio ha sostenuto il ciclo politico berlusconiano ci ha di fatto pensato la Crisi, qualla con la C maiuscola, piuttosto che noi. Insomma, più che la sinistra potè l’economia. Domenica la Lega rivolgendosi al suo “popolo” (artigiani, partite IVA, piccole e medie imprese ….) invocava la famigerata riforma fiscale come panacea di tutti i mali. Quasi contemporaneamente però le agenzie di rating internazionale avvisavano che in assenza di una riduzione del debito pubblico (schizzato al 120% del PIL) si potrebbe arrivare presto ad un declassamento del sistema Paese, cosa che lo iscriverebbe a pieno titolo nella schiera dei cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), ovvero i paesi a rischio default. Tremonti ha dato segno di aver recepito l’antifona ed ha annunciato prontamente una manovra da 40 miliardi di euro che va evidentemente in tutt’altra direzione rispetto alla rotta indicata dai lumbard e da buona parte del PDL. Anche e soprattutto perchè questa volta il ministro rischia di andare a cercare soldi proprio nelle tasche della base sociale ed elettorale del Polo. Le aggressioni, le intimidazioni e perfino i sequestri del personale di Equitalia mandato a riscuotere le cartelle esattoriali sono un sintomo evidente di questo malessere. Così come è un segnale da non sottovalutare il favore fatto dallo stesso ministro Tremonti all’ABI attraverso l’innalzamento del tasso “usurario” salito ormai al 17.66% (leggi). Ragion per cui adesso una banca commerciale potrà comprare denaro ad un prezzo praticamente nullo dalla BCE e poi rivenderselo al 16 e passa percento ai privati, alle piccole e medie imprese, ecc. ecc. Questo giusto per far meglio comprendere a chi ci legge chi è che comunque continua a guadagnare anche con la Crisi e quanto sia profondo il solco che sta separando i destini di pezzi diversi della borghesia italiana. Anche perchè a ben vedere, se volessimo seguire il ragionamento della sora Marietta, che poi alla fin fine è lo stesso del sor Giulio, stringi stringi ci sono solo due modi per appianare una situazione debitoria: spendere di meno o produrre di più. Altri modi ovviamente ci sarebbero, ma fuori dalle compatibilità capitalistiche, e poi bisognerebbe andare a toccare gli interessi e le rendite del grande capitale… e a questo, però, nun ce devi proprio pensa’! Quindi si ritorna alla coppia di possibilità viste sopra, o tagli e taglieggi spremendo lo spremibile (deprimendo ulteriormente i consumi) oppure incrementi sensibilmente il PIL. Quest’ultima ipotesi, però, appartiene più al campo delle pie illusioni che a quello delle possibilità realizzabili. Lunedì scorso l’inserto economico di Repubblica attraverso una serie di articoli interessanti segnalava come negli USA si stia diffondendo la convinzione che l’economia mondiale si trovi alle soglie di un “double dip”. Che non è una nuova categoria di You Porn ma il termine adoperato dagli addetti ai lavori per descrivere una doppia recessione simboleggita dalla lettera maiscola W. Ossia, dopo una breve ed effimera ripresa ci si troverà a fare i conti con una nuova caduta rovinosa. Le cause, sempre a detta di questi soloni dell’economia liberale sarebbero diverse. I nuovi comportamenti dei cittadini statunitensi, non più disposti ad indebitarsi per il sovraconsumo… L’impossibilità da parte dei paesi “emergenti” di sostituire la domanda occidentale… L’elevato costo del petrolio legato (anche) ai conflitti neocoloniali irrisolti… La crisi greca e il disastro giapponese… A dire il vero gli economisti di scuola marxiana sono anni che descrivono questa situazione spiegando come la domanda globale non sia più in grado di soddisfare le esigenze di profitto del sistema capitalistico, ma tant’è. Quello che ci preme qui sottolineare è che stando così i fatti la strada che verrà imboccata non potrà che essere quella dell’austerity e questo non potrà che allargare le crepe di cui sopra. Il segnale delle recenti tornate elettorali crediamo vada letto in soprattutto in quest’ottica. Una crepa in cui bisognerebbe inserirsi fino a far saltare tutto. E invece un pezzo della cosiddetta sinistra radicale, ormai orfana di qualsiasi autonomia, si è già detta pronta ad arruolarsi nell’altro blocco sociale tirando nuovamente fuori la bufala del “patto dei produttori” e la crociata antiberlusconiana. Mentre ciò che resta del movimento di classe sconta una frammentazione ed un ritardo enormi, oltre che l’incapacità anche solo di proporre una alternativa che esca dai proclami velleitari e si faccia progetto di società credibile. Insomma, sta passando uno di quei treni che non è che siano poi così frequenti, ma i limiti soggettivi ci impediranno di prenderlo, magari attrezziamoci per il prossimo…