Terni: rispolverata legge repressiva del 1956
Negli scorsi giorni, il questore di Terni ha notificato ad una decina di compagni – militanti antifascisti e sindacalisti attivi nelle mobilitazione contro la Thyssenkrupp e contro gli incidenti, anche mortali, che si sono verificati all’interno della fabbrica – degli “avvisi orali” in base alla legge 1423 del 1956, contenente “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”. La legge è diretta contro coloro “che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi” e che “per il loro comportamento, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” (leggi). L’avviso orale contiene un “invito” a “tenere una condotta conforme alla legge”: in caso contrario, “ove persista nei suoi comportamenti pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica, potrà essere avanzata nei suoi confronti proposta motivata per l’applicazione delle misure di prevenzione”. Dunque l’avviso orale, che nel 1988 ha sostituito l’istituto della diffida, prelude alle misure di sorveglianza speciale (leggi e leggi). È importante sottolineare che questi compagni non sono accusati di aver compiuto reati o atti particolari, ma solo di aver partecipato ad alcune delle lotte politiche e sociali che sono state condotte – con successo – a Terni negli ultimi mesi, come la contestazione ad un’iniziativa razzista della Lega nord contro la prostituzione a gennaio e quella al gruppo paracadutistico di Casa Pound (definiti dall’atto della questura come “un gruppo di sportivi paracadutisti provenienti da altra provincia”), presso l’aviosuperficie, a febbraio.
Ad alcuni compagni, inoltre, è stato fatto divieto di possedere o utilizzare apparati di comunicazione radiotrasmittenti, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati (??), armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi comprese le armi giocattolo (??), strumenti in libera vendita in grado nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone (??), sostanze infiammabili, nonché programmi informatici ed altri elementi di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi (che sappiamo bene essere utilizzati per costruire teoremi sulla presunta attività terrorista dei compagni).
L’aspetto più significativo di questi provvedimenti è che essi non sono motivati dalla sentenza di un giudice, ma sono “politici”, cioè vengono decisi unilateralmente dal questore sulla base delle semplici segnalazioni dalla digos: è più o meno lo stesso procedimento che porta al daspo nelle manifestazioni sportive. È il questore, dunque, che stabilisce che una persona sia da considerarsi “pericolosa”, anche se questa non viene considerata responsabile di alcun reato.
È evidente come questi provvedimenti repressivi mirino a sottrarre spazi di agibilità politica ai compagni, a cui viene praticamente intimato di lasciar perdere di fare attività politica: lo scopo è proprio quello di disgregare le lotte sociali e politiche, di rendere i compagni più visibili meno attivi e inclini alla partecipazione. Si tratta di provvedimenti sempre più preventivi che repressivi: non si viene colpiti solo quando si è accusati di aver commesso un reato, ma anche quando si pensa che si potrebbe commettere. Questo sistema è stato per il momento testato in piccole città – come Terni e come Brescia (leggi) – in cui si spera che la conflittualità espressa dai compagni possa venir inebetita da questi provvedimenti: è evidente, in questo senso, il peso che questi atti intimidatori potrebbero rivestire in un momento come questo, in cui per le forze politiche espressioni del padronato è necessario impedire il nascere di proteste contro la durissima manovra finanziaria del governo. L’attività politica viene così ridotta ad un problema di pubblica sicurezza, che si cerca di arginare per mezzo di atti amministrativi, sperando in questo modo di colpire la conflittualità sociale e l’antifascismo.
Siamo certi che questi provvedimenti non otterranno l’effetto voluto. La conflittualità e l’antifascismo non sono problemi di pubblica sicurezza e non sarà certo il timore di provvedimenti più pesanti a franare l’attività dei compagni e delle compagne. Esprimiamo solidarietà ai compagni ternani, ricordando che per oggi – martedì 15 giugno – alle ore 15.30 hanno indetto una conferenza stampa presso la sala del consiglio comunale di Terni. Daje, compa’!