Tombe comuni
Avvicinandosi la “giornata del ricordo” assistiamo a nuove puntate della grottesca liturgia rappresentata dalla “questione foibe”. Per la serie: “come rendere teatrale, strumentale e FALSA una vicenda storica che meriterebbe, invece, seri approfondimenti. Come ogni liturgia che si rispetti, un punto importante è rappresentato dall’identificazione di un NEMICO.
Identificando un nemico si cerca di ottenere visibilità e attenzione popolare per una questione che l’opinione pubblica continua a ignorare, nonostante una campagna-stampa martellante, per giunta ogni anno caratterizzata da un anti-comunismo più marcato (basti vedere gli spot televisivi, piccole gemme di accusa nei confronti dei partigiani yugoslavi). Dicevamo del “nemico”: dopo aver bandito le ricerche storiografiche di Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk (ai quali la Provincia di Milano arrivò a negare la sala, già concessa, in cui si sarebbe dovuto tenere il convegno “Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”) – che cercavano di mettere ordine nel circo di numeri, cifre e morti sbandierati dalla destra come fossero un gagliardetto di vittoria culturale, gli alchimisti della storia si sono concentrati sull’anziano scrittore sloveno Boris Pahor (tutt’altro che comunista, tra l’altro), il quale a gennaio aveva rifiutato un’onorificenza promessa dal Comune di Trieste, rispondendo in un modo a dir poco limpido: “Se il sindaco vuole darmi una medaglia deve riferirsi non solo alle mie sofferenze nei campi di concentramento del Führer ma anche ai patimenti che subii durante il fascismo”. Dove è lo scandalo? La giunta triestina, che contiene un buon numero di ex missini (di quelli che ancora non hanno assimilato la presunta “svolta di Fiuggi”) si indigna, nel momento in cui viene scompaginato il progetto di riscrittura storica. Inaccettabile, evidentemente, che qualcuno metta in dubbio la loro versione: la dittatura del Führer era effettivamente brutta e cattiva (ma tra un po’ rivaluteranno pure quella…), quella fascista – invece – era bonacciona e simpatica. Senza contare che i crudelissimi “titini” hanno tolto al suolo italico l’Istria e la Dalmazia, nonostante il cane fascista ci avesse pisciato sopra con insistenza per venti anni.
Archiviata la questione Pahor, il nuovo NEMICO è diventato lo storico dell’Università di Capodistria Jose Pirjevec, per la pubblicazione del libro – in realtà è una curatela – “Una storia d’Italia”. Lo “scandaloso Pirjevec” non fa altro che contestualizzare le vicende istriane successive all’8 settembre 1943 nel ricordo dell’italianizzazione forzata di quelle terre imposta dal fascismo durante i due decenni precedenti. Sempre Pirjevec ricorda come il “dramma” di molti esuli italiani nascondesse, in realtà, la volontà di allontanarsi da una terra nella quale non avrebbero potuto più fare i loro porci comodi, in seguito al cambio di sovranità. Ancora Pirjevec mette in dubbio – ma non è certo l’unico a farlo – i numeri degli infoibati, sottolineando come la cementificazione delle più famose tombe comuni (che rende molto difficile il conteggio effettivo dei cadaveri) fu voluta nel dopoguerra dagli stessi italiani (e non dai “terribili titini”) con l’evidente obiettivo di mantenere l’indeterminatezza del fenomeno. Così che a parlare fosse il mito, piuttosto che la ricerca storica.
Per lo stesso motivo conviene mantenere viva la favoletta degli “italiani brava gente”, nonostante i vari Angelo Del Boca, Davide Conti e Gianni Oliva abbiano da tempo scritto saggi sulle efferatezze dell’esercito italiano, specializzato nel dare il peggio di sé contro i civili e la popolazione inerme, per poi scappare a gambe levate quando si trattava di combattere contro eserciti regolari.
Mancando questi passaggi fondamentali, è evidente che la narrazione della “questione-foibe” assuma caratteri favolistici, difesi a spada tratta dalla componente ex-missina del Pdl.
L’obiettivo è semplice: nell’impossibilità di dire pubblicamente che Mussolini era molto fico e ci manca tanto, gli orfanelli di Almirante (un altro personaggio che sull’essere forte contro i deboli e debole contro i forti ha costruito la sua fortuna politica) cercano rivincite ricostruendo piccoli pezzi di storia nazionale, all’insegna dell’anti-comunismo militante.
Quando qualcuno rompe le uova nel paniere, i nostalgici del sabato fascista impazziscono e danno di matto. Eppure serve molta fantasia per trovare falsità e bugie nelle opere degli storici che abbiamo citato. Non a caso, gli ex-missini ora al potere alla critica preferiscono di gran lunga la censura, come insegnava il nonno pelato (e impiccato). Quando proprio non possono fare a meno di parlarne, nascondono un certo imbarazzo. È il caso del Corriere della Sera, che il 9 febbraio fa una recensione del lavoro di Pirjevec e sembra essere un po’ in difficoltà nel trovare pecche ed errori. Conclude con l’accusa di “riduzionismo”, dato che non può oggettivamente usare quella di “negazionismo”. È un po’ come dire “non so bene di cosa accusarti, ma intanto ti dico che così non si fa”.
Un modo come un altro, evidentemente, per continuare a non voler fare i conti con il comunismo. Preferendo, per ovvi motivi, la facile (e infame) equazione: nazismo uguale comunismo. Shoah uguale foibe. Hitler uguale Stalin uguale Tito. Dato che a noi piace indagare la storia, ma non sentirci raccontare storie, sabato13 febbraio, alle ore 19.30, il collettivo Militant e il collettivo Senza Tregua propongono il dibattito “Il revisionimo e l’uso politico della storia”. Saranno presenti gli storici Gino Candreva (redazione della rivista “Zapruder. Storie in movimento”), Sandi Volk e Davide Conti. Il dibattito si terrà presso il “BLOW” di Porta Labicana 24, San Lorenzo, Roma.
In questi giorni la Rai sta nuovamente mandando in onda la fiction revisionista “Il cuore nel pozzo”. Insieme ad una nostra riflessione sulla questione, riproponiamo il video che abbiamo fatto quando lo sceneggiato fu trasmesso per la prima volta.
Con l’avvicinarsi del “Giorno del ricordo” abbiamo assistito anche quest’anno a nuove puntate della grottesca liturgia rappresentata dalla “questione foibe”. Per la serie: “come rendere teatrale, strumentale e FALSA una vicenda storica che meriterebbe, invece, seri approfondimenti”. Come ogni liturgia che si rispetti, un punto importante è rappresentato dall’identificazione di un nemico.
Identificando un nemico si cerca di ottenere visibilità e attenzione popolare per una questione che l’opinione pubblica continua a ignorare, nonostante una campagna-stampa martellante, per giunta ogni anno caratterizzata da un anti-comunismo più marcato (basti vedere gli spot televisivi, piccole gemme di accusa nei confronti dei partigiani yugoslavi). Dicevamo del “nemico”: dopo aver bandito le ricerche storiografiche di Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk (ai quali la Provincia di Milano arrivò a negare la sala, già concessa, in cui si sarebbe dovuto tenere il convegno “Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”) – che cercavano di mettere ordine nel circo di numeri, cifre e morti sbandierati dalla destra come fossero un gagliardetto di vittoria culturale, gli alchimisti della storia si sono concentrati sull’anziano scrittore sloveno Boris Pahor (tutt’altro che comunista, tra l’altro), il quale a gennaio aveva rifiutato un’onorificenza promessa dal Comune di Trieste, rispondendo in un modo a dir poco limpido: “Se il sindaco vuole darmi una medaglia deve riferirsi non solo alle mie sofferenze nei campi di concentramento del Führer ma anche ai patimenti che subii durante il fascismo”. Dove è lo scandalo? La giunta triestina, che contiene un buon numero di ex missini (di quelli che ancora non hanno assimilato la presunta “svolta di Fiuggi”) si indigna, nel momento in cui viene scompaginato il progetto di riscrittura storica. Inaccettabile, evidentemente, che qualcuno metta in dubbio la loro versione: la dittatura del Führer era effettivamente brutta e cattiva (ma tra un po’ rivaluteranno pure quella…), quella fascista – invece – era bonacciona e simpatica. Senza contare che i crudelissimi “titini” hanno tolto al suolo italico l’Istria e la Dalmazia, nonostante il cane fascista ci avesse pisciato sopra con insistenza per venti anni.
Archiviata la questione Pahor, il nuovo NEMICO è diventato lo storico dell’Università di Capodistria Jose Pirjevec, per la pubblicazione del libro – in realtà è una curatela – “Foibe. Una storia d’Italia”. Lo “scandaloso Pirjevec” non fa altro che contestualizzare le vicende istriane successive all’8 settembre 1943 nel ricordo dell’italianizzazione forzata di quelle terre imposta dal fascismo durante i due decenni precedenti. Sempre Pirjevec ricorda come il “dramma” di molti esuli italiani nascondesse, in realtà, la volontà di allontanarsi da una terra nella quale non avrebbero potuto più fare i loro porci comodi, in seguito al cambio di sovranità. Ancora Pirjevec mette in dubbio – ma non è certo l’unico a farlo – i numeri degli infoibati, sottolineando come la cementificazione delle più famose tombe comuni (che rende molto difficile il conteggio effettivo dei cadaveri) fu voluta nel dopoguerra dagli stessi italiani (e non dai “terribili titini”) con l’evidente obiettivo di mantenere l’indeterminatezza del fenomeno. Così che a parlare fosse il mito, piuttosto che la ricerca storica.
Per lo stesso motivo conviene mantenere viva la favoletta degli “italiani brava gente”, nonostante i vari Angelo Del Boca, Davide Conti e Gianni Oliva abbiano da tempo scritto saggi sulle efferatezze dell’esercito italiano, specializzato nel dare il peggio di sé contro i civili e la popolazione inerme, per poi scappare a gambe levate quando si trattava di combattere contro eserciti regolari.
Mancando questi passaggi fondamentali, è evidente che la narrazione della “questione-foibe” assuma caratteri favolistici, difesi a spada tratta dalla componente ex-missina del Pdl.
L’obiettivo è semplice: nell’impossibilità di dire pubblicamente che Mussolini era molto fico e ci manca tanto, gli orfanelli di Almirante (un altro personaggio che sull’essere forte contro i deboli e debole contro i forti ha costruito la sua fortuna politica) cercano rivincite ricostruendo piccoli pezzi di storia nazionale, all’insegna dell’anti-comunismo militante.
Quando qualcuno rompe le uova nel paniere, i nostalgici del sabato fascista impazziscono e danno di matto. Eppure serve molta fantasia per trovare falsità e bugie nelle opere degli storici che abbiamo citato. Non a caso, gli ex-missini ora al potere alla critica preferiscono di gran lunga la censura, come insegnava il nonno pelato (e impiccato). Quando proprio non possono fare a meno di parlarne, nascondono un certo imbarazzo. È il caso del Corriere della Sera, che il 9 febbraio fa una recensione del lavoro di Pirjevec e sembra essere un po’ in difficoltà nel trovare pecche ed errori. Conclude con l’accusa di “riduzionismo”, dato che non può oggettivamente usare quella di “negazionismo”. È un po’ come dire “non so bene di cosa accusarti, ma intanto ti dico che così non si fa”.
Un modo come un altro, evidentemente, per continuare a non voler fare i conti con il comunismo. Preferendo, per ovvi motivi, la facile (e infame) equazione: nazismo uguale comunismo. Shoah uguale foibe. Hitler uguale Stalin uguale Tito. Dato che a noi piace indagare la storia, ma non sentirci raccontare storie, sabato13 febbraio, alle ore 19.30, il collettivo Militant e il collettivo Senza Tregua propongono il dibattito “Il revisionimo e l’uso politico della storia”. Saranno presenti gli storici Gino Candreva (redazione della rivista “Zapruder. Storie in movimento”), Sandi Volk e Davide Conti. Il dibattito si terrà presso il “BLOW” di Porta Labicana 24, San Lorenzo, Roma.
Archiviata la questione Pahor, il nuovo NEMICO è diventato lo storico dell’Università di Capodistria Jose Pirjevec, per la pubblicazione del libro – in realtà è una curatela – “Foibe. Una storia d’Italia”. Lo “scandaloso Pirjevec” non fa altro che contestualizzare le vicende istriane successive all’8 settembre 1943 nel ricordo dell’italianizzazione forzata di quelle terre imposta dal fascismo durante i due decenni precedenti. Sempre Pirjevec ricorda come il “dramma” di molti esuli italiani nascondesse, in realtà, la volontà di allontanarsi da una terra nella quale non avrebbero potuto più fare i loro porci comodi, in seguito al cambio di sovranità. Ancora Pirjevec mette in dubbio – ma non è certo l’unico a farlo – i numeri degli infoibati, sottolineando come la cementificazione delle più famose tombe comuni (che rende molto difficile il conteggio effettivo dei cadaveri) fu voluta nel dopoguerra dagli stessi italiani (e non dai “terribili titini”) con l’evidente obiettivo di mantenere l’indeterminatezza del fenomeno. Così che a parlare fosse il mito, piuttosto che la ricerca storica.
Per lo stesso motivo conviene mantenere viva la favoletta degli “italiani brava gente”, nonostante i vari Angelo Del Boca, Davide Conti e Gianni Oliva abbiano da tempo scritto saggi sulle efferatezze dell’esercito italiano, specializzato nel dare il peggio di sé contro i civili e la popolazione inerme, per poi scappare a gambe levate quando si trattava di combattere contro eserciti regolari.
Mancando questi passaggi fondamentali, è evidente che la narrazione della “questione-foibe” assuma caratteri favolistici, difesi a spada tratta dalla componente ex-missina del Pdl.
L’obiettivo è semplice: nell’impossibilità di dire pubblicamente che Mussolini era molto fico e ci manca tanto, gli orfanelli di Almirante (un altro personaggio che sull’essere forte contro i deboli e debole contro i forti ha costruito la sua fortuna politica) cercano rivincite ricostruendo piccoli pezzi di storia nazionale, all’insegna dell’anti-comunismo militante.
Quando qualcuno rompe le uova nel paniere, i nostalgici del sabato fascista impazziscono e danno di matto. Eppure serve molta fantasia per trovare falsità e bugie nelle opere degli storici che abbiamo citato. Non a caso, gli ex-missini ora al potere alla critica preferiscono di gran lunga la censura, come insegnava il nonno pelato (e impiccato). Quando proprio non possono fare a meno di parlarne, nascondono un certo imbarazzo. È il caso del Corriere della Sera, che il 9 febbraio fa una recensione del lavoro di Pirjevec e sembra essere un po’ in difficoltà nel trovare pecche ed errori. Conclude con l’accusa di “riduzionismo”, dato che non può oggettivamente usare quella di “negazionismo”. È un po’ come dire “non so bene di cosa accusarti, ma intanto ti dico che così non si fa”.
Un modo come un altro, evidentemente, per continuare a non voler fare i conti con il comunismo. Preferendo, per ovvi motivi, la facile (e infame) equazione: nazismo uguale comunismo. Shoah uguale foibe. Hitler uguale Stalin uguale Tito. Dato che a noi piace indagare la storia, ma non sentirci raccontare storie, sabato13 febbraio, alle ore 19.30, il collettivo Militant e il collettivo Senza Tregua propongono il dibattito “Il revisionimo e l’uso politico della storia”. Saranno presenti gli storici Gino Candreva (redazione della rivista “Zapruder. Storie in movimento”), Sandi Volk e Davide Conti. Il dibattito si terrà presso il “BLOW” di Porta Labicana 24, San Lorenzo, Roma.