Tony, noi ti preferiamo con la museruola
La prima menzione di questo capodanno va all’amministrazione Gualtieri: esente da ogni posizione di sinistra di classe, il PD costruisce il suo elettorato anche sulla scia di un progressismo civile e liberale. Questa volta, neanche di quello ha saputo occuparsi. Ha invitato giulivamente uno che con versi come “Lei la comando con un joystick / Non mi piace quando parla troppo (troppo) / Le tappo la bocca e me la fotto” ha fatto storcere il naso davvero a tutte, dalle associazioni contro la violenza di genere alle consigliere del PD e persino a Fratelli d’Italia. Per non aver fatto attenzione a questo scivolone, Gualtieri ha dovuto fare un passo indietro che ha causato una sonora levata di scudi da una parte e dall’altra. Oro per le testate. Ce lo poteva risparmiare dando una lettura preventiva ai testi di chi invitava. Oppure li ha letti e non ha visto il problema?
La seconda menzione va a lui: Tony Effe, nome d’arte di Nicolò Rapisarda. “Gira gira gira gira” e poi ritorna: e dopo i testi misogini, i dissing machisti, le polemiche e lo stendardo alzato a difesa della trap “che è tutta così”, dove ritorna? Sul palco del concerto comunale di capodanno, e quando gli viene ritirato l’invito, quasi a furor di popolo, ci rimane male. Che uomo di strada. Che trapper. Che artista incompreso. “Sono un tipo complicato, non mi esprimo E le poche volte che ci provo, non vengo capito”: no caro Nicolò, tu invece ti esprimi eccome, con un’etichetta tra le major dell’industria musicale, i milioni in banca, abbondanza di ascolti e visibilità sulle piattaforme e, come se non bastasse, la possibilità di esibirti a Sanremo. E noi, purtroppo le tue canzoni le abbiamo potute ascoltare e, siccome l’italiano non è un’opinione e l’arte non è mai neutrale, ci appare palese che i tuoi testi siano al limite della cultura dello stupro.
Facciamo poi chiarezza sul concetto di censura, utilizzato in modo errato: la censura è uno strumento del potere, che limita e impedisce l’espressione quando è scomoda per esso. Ti controlla e redarguisce se parli di guerra nel modo sbagliato, ti toglie voce, possibilità, a volte anche lo stipendio. In questo caso lo troviamo improprio perché Nicolò rappresenta una voce dominante, e non scomoda, in una società patriarcale con una cultura dello stupro super radicata (basti prendere come esempio qualsiasi Valditara di turno, sentenza di tribunale, vittimizzazione secondaria nei casi di violenza, ecc.). Quando delle soggettività discriminate non accettano un linguaggio violento e chiedono che questo non passi attraverso i soldi pubblici non è censura, ma lotta nei confronti di un sistema che le rilega a una dimensione di subalternità.
Il bel Nicolò è un maschio cis benestante: contestarlo non significa censurare un artista senza ragioni, significa combattere contro un potere discriminante, rappresentato dal modello culturale dominante e dalla linea di governo. Versi come “mi dici che sono un tipo violento, però vieni solo quando ti meno” “non gridare, nessuno ti sente”, “volano schiaffi e reggiseni da ogni parte” sono specchio di una società che conta 110 femminicidi solo nel 2024 e in cui ogni tre giorni viene uccisa una persona socializzata donna. L3 artist3 la definiscono censura, noi la chiamiamo risposta alla violenza di genere.
La terza menzione va all3 artist3: si strappano i capelli per Nicolò e hanno fatto silenzio quando era in atto una vera censura nei confronti dei loro colleghi Ghali e Dargen D’Amico che l’anno scorso si sono espressi per la Palestina, sfidando la linea di governo di uno stato occidentale razzista e filo-sionista, e sono andati contro il potere subendone una subdola forma di censura.
All’occorrenza, però, insorge un’ipocrita corazzata potemkin, anzi, corazzata Universal e Warner music, visto che un certo numero di questx paladinx della libera (mai politicizzata) espressione fa parte della stessa etichetta discografica, o associate. Declinata in questo modo, quello che a prima vista poteva sembrare una tanto sbandierata difesa della libertà di espressione in realtà si riduce a una mera difesa corporativa di interessi economici e alla paura legata da parte degli artisti di perdere fette della torta del mercato. Faccio “musica”, metto contenuti che tirano, vendo, e allora ho il diritto di esserci a prescindere.
Una menzione d’onore va a Emma Marrone che si erge a portavoce del femminismo liberale per poi prendere le parti di Nicolò. Occhio però, ci avverte Emma sulle sue piattaforme social in risposta ai commenti critici sulla vicenda: non bisogna mischiare femminismo, politica e censura nello stesso pentolone!
Ma in fin dei conti Nicolò ha la scorza dura, ingoia bocconi amari fin da piccolo quando, ci racconta, doveva accontentarsi di 150 euro di paghetta a settimana e affrontare l’emarginazione da “povero del centro”, con una casa di “soli” 90 mq. Come tutti i grandi artisti, sua maestra è stata la strada (via Nazionale magari). Ecco da dove nasce la presunta rabbia che sfocia in versi violenti razzisti (vedi gli insulti regitrati nei confronti di Bello Figo) e misogini.
Siccome in verità lui “ama tutte le donne” e comunque a Natale siamo tutti più buoni, suonerà lo stesso a fine anno in un suo concerto personale a Palaeur e donerà i proventi a centri anti violenza. Come altri prima di lui,invece di prendersi le dovute responsabilità, proverà a redimersi con l’unica cosa che davvero non gli manca: i soldi. L’ennesimo esempio di washing, in questo caso pinkwashing, portato avanti nel capitalismo per svuotare le lotte e ripulirsi.
Quand’è così, vogliamo dedicargli un paio di suoi versi: “non [ci] piace quando parla troppo,[gli] serve la museruola”. Caro Tony Effe, ti auguriamo un Capodanno col botto!