Tunisia. Diario e riflessioni dalla rivolta
Tornati dalla carovana in Tunisia, proviamo a buttare giù alcune considerazioni che ci auguriamo possano essere un prezioso spunto di riflessione per tutti noi, a partire dal fatto che occasioni del genere non capitano tutti i giorni. Dopo aver denunciato più volte la manipolazione mediatica su quanto accade in Nord-Africa, oggi ci sentiamo orgogliosi di poter offrire una prima panoramica sulla situazione tunisina, senza mediazione giornalistica alcuna, ma figlia degli incontri che la carovana ha fatto nel corso di questi cinque giorni. Buona lettura a tutti/e!
Una premessa doverosa.
La carovana Uniti per la Libertà è una miscellanea di associazioni, movimenti dal basso e per il diritto all’abitare, centri sociali e singoli collettivi. Questa carovana ha raccolto in un’unica esperienza compagni e compagne delle diverse città di Italia: Roma, Napoli, molti comuni delle Marche, Bologna, Padova, Venezia e tante altre. Uniti per la Libertà, dunque, ha rappresentato un tentativo laico di declinare una rinnovata tendenza internazionalista che interessasse l’area del Nord-Africa, dopo che molte delle stesse realtà che hanno organizzato questa trasferta si erano mostrate attive sia sul versante latinoamericano – con particolare riguardo all’esperienza zapatista, alla Bolivia di Morales e all’esperienza dei Forum dei Movimenti Sociali che più volte ha interessato il Messico e l’America Latina-, sia sulla campagna di sostegno per la liberazione della Palestina dal giogo sionista. Con queste premesse, abbiamo attraversato dall’8 al 12 aprile i territori tunisini, indagando – attraverso un meccanismo non ancora messo in moto da nessuna altra organizzazione politica e/o non governativa – le articolazioni della società civile tunisina; incontrando movimenti, associazioni, sindacati; recandoci, con i circa 60 effettivi della carovana, ai campi profughi di Ras Jadir, confine tra Tunisia e Libia, 130km da Tripoli, portando con noi un ampio carico di medicinali e generi alimentari che erano stati esplicitamente richiesti dalle associazioni che operano lungo quel confine.
La volontà di offrire una “testimonianza a caldo” si scontra con un duplice ordine di problemi: da un lato, le associazioni e i movimenti che hanno animato la carovana si sono impegnate quotidianamente ad informare con report minuziosi l’andamento delle giornate tunisine; per questo l’obiettivo di queste righe non è quello di procedere ad una nuova cronistoria del viaggio. Dall’altro, anche offrire una panoramica di massima (per quanto dettagliata) non è la volontà di questo post. Verrebbe da chiedersi, lecitamente, cosa vogliamo farne del bagaglio culturale incamerato dopo questi cinque giorni. Crediamo, semplicemente, che per valorizzare un’esperienza encomiabile come questa, sia doverosa una premessa che introduca, senza appesantire, al contesto storico e sociale che abbiamo trovato in Tunisia. Per questo abbiamo deciso di iniziare il racconto e la riflessione a partire da un breve focus generale su cos’è la Tunisia oggi e cosa si muove realmente in Tunisia, ottimizzando la possibilità di inchiesta diretta che questa carovana ha rappresentato. I punti che metteremo in evidenza di seguito, saranno poi oggetto di altrettanti focus che verranno pubblicati nei prossimi giorni e che renderemo scaricabili, di volta in volta, dal nostro blog.
Uno sguardo d’insieme. La révolte suite et..suite!
Le giornate vissute nella carovana Uniti per la Libertà hanno offerto la possibilità di vivere in presa diretta la nuova dimensione politica tunisina. Come evidenziato più volte, nel corso dei dibattiti che hanno accompagnato i mesi di rivolte nel Nord-Africa, non ci preme sintetizzare un passaggio storico epocale in poche righe, sostanzialmente per due ragioni. Da un lato, perché il tempo trascorso nelle regioni tunisine è stato oggettivamente insufficiente per definire qualunque aspetto sociale che abbiamo intercettato; dall’altro, perché sarebbe un tentativo di sintesi in aperta contraddizione con lo spirito che ha mosso questa carovana, ovvero quello di calarsi nel processo di transizione governativo al fine di capire in quale modo le nuove generazioni hanno terremotato il Maghreb ed il Mashreq, indagarne le pratiche di lotta, codificarne il lessico politico senza ricorrere all’adozione di paradigmi e categorie politiche proprie delle nostre esperienze.
Se dunque non si possono compiere “voli interpretativi”, nulla ci vieta di porre l’accento su alcune questioni che risultano ormai essere patrimonio politico collettivo di chi oggi partecipa alla nuova fase costituente del post Ben Ali.
Il primo elemento che sentiamo di sottolineare è la consapevolezza della transitorietà della rivolta e il conseguente auspicio di un vero e proprio inizio rivoluzionario (e non, come sentiamo dai nostri media mainstream, una rivoluzione già in atto). Una riflessione che accompagna uno dei temi caldi del dibattito politico interno dei rivoltosi, ovvero l’essere corpo vivo e cogente di una dimensione che anela – nel futuro prossimo – ad un passaggio rivoluzionario di stampo generazionale. A questa considerazione c’è da aggiungere la necessità, avvertita dal popolo tunisino, di procedere ad un radicale rovesciamento dell’esistente (non adeguamento, tantomeno un aggiornamento) che non può essersi sostanziato nella sola deposizione di Ben Ali, ma che passa inevitabilmente dal riordino delle amministrazioni provinciali e comunali ancora dirette dai quadri fedeli all’ex regime. È il caso, questo, di quanto avviene nel sud del paese, vero centro propulsore della protesta e zona nella quale l’ondata di rivolta non è nata – stando alle testimonianze della piazza – nel finire dello scorso anno, ma origina da lotte sociali (legate alla battaglia dei minatori della regione di Gafsa) che a partire dal 2008 hanno visto sorgere forti proteste e ondate di scioperi praticamente ogni mese.
Il secondo fattore che ha assunto una forte centralità nelle nostre considerazioni (mentre si era in viaggio, o durante le discussioni del dopo cena), è l’essersi trovati di fronte ad una forte frammentazione delle forze politiche. Alcune di queste, preesistenti al periodo di tumulto, costrette alla clandestinità; altre frutto di scissioni tra partiti storicamente presenti sul palcoscenico tunisino; altre ancora, invece, figlie di una neonata e genuina ansia di partecipazione costituente, che amplifica a livello internazionale l’acceso dibattito che anima la società civile locale.
Ma l’elemento politico di maggior spessore che può essere colto da questa permanenza, risiede nella discussione globale che indirizza l’azione politica di piazza nella fase di transizione governativa. Il dibattito politico interno si muove affrontando, con grande capacità di analisi critica, temi disparati ed indissolubilmente concatenati: dal pericolo di una deriva fondamentalista islamica all’attuale efficacia ed incidenza delle forme di lotta già esperite, dalla riflessione sulla riforma elettorale (la cui discussione era calendarizzata durante i giorni della nostra permanenza) all’attuale validità del binomio stato di diritto/potere spirituale (con la conseguente riflessione sull’art. 1 della Costituzione tunisina nel quale si definisce la Tunisia come “uno stato libero indipendente e sovrano” e dove si afferma che “l’islam è la sua religione”), fino alla riflessione sulla scottante situazione delle migrazioni, sull’attività dei campi profughi e la previsione sui futuri flussi migratori che interesseranno il confine con la Libia.
La grande varietà e vivacità del processo transitorio tunisino sono le impressioni che portiamo a casa con più chiarezza; l’auspicio di un stato sociale al passo con le trasformazioni dei modelli produttivi, e un sistema di garanzie collettive che limitino la corruzione della res publica sono traguardi di effettiva libertà (non fine a se stessa, dunque) cui il popolo tunisino mira, e che noi – partecipi a modo nostro con un breve contributo a questa fase costituente – ci sentiamo di sostenere con grande entusiasmo.
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