Uno, due, dieci anni dopo
Un anno dopo c’era ancora molta gente. Le strade di Genova si erano riempite di nuovo, rabbia, dolore e cordoglio erano mischiati in un’emozione condivisa. Si trattava, comunque, di un momento irrazionale, di oggettivo e dovuto flusso emotivo. Due anni dopo (Genova 2003), il corteo era meno ampio, le iniziativa più frammentate. Pure non erano mancate delegazioni provenienti da Paesi lontani, dai Forum sociali ancora sparsi in giro per l’Europa, persino dal Forum sociale mondiale di Bombay (India). Non dimentichiamoci, del resto, che la stagione dei Forum sociali era in pieno svolgimento. Con il passare degli anni gli anniversari delle giornate di Genova sono stati meno partecipati, meno vissuti, meno “globali”, per quanto gruppi politici e collettivi abbiano sempre ricordato Carlo Giuliani all’interno dei propri contesti. Le vicende giudiziarie, e la loro narrazione, avrebbero successivamente calamitato molte attenzioni, riducendo quell’esperienza a un fatto quasi procedurale, peraltro di fondamentale importanza, dal momento che la giustizia borghese non processava solamente un ristretto nugolo di forze dell’ordine, ma soprattutto un nutrito numero di manifestanti, in coerenza con le peggiori tradizioni della magistratura italiana.
Adesso di anni ne sono passati dieci e, per quell’assurdo meccanismo mentale che attribuisce importanza alle cifre tonde (quasi fosse una cabala), l’orologio della commemorazione si è rimesso a girare vorticosamente. Vedrete, ricomparirà qualche improbabile politico, faccia afflitta e lacrime di coccodrillo. Magari il sor Di Pietro, che dieci anni fa bloccò sapientemente la commissione di inchiesta sulle violenze delle forze dell’ordine. Magari Diliberto che, istituendo i famigerati Gom, tante responsabilità ebbe nell’organizzazione della famosa mattanza. Ecco, uno dei punti che bisognerebbe tenere a mente è proprio questo: la vulgata comune vuole che la “macelleria messicana” di Genova 2001 sia stata un messaggio dell’apparato repressivo nei confronti del governo Berlusconi da poco in carica. Oppure che fosse una prova di forza dello stesso neo-governo (quantomeno di una sua parte, ovviamente vicina ad Alleanza Nazionale e al “non ancora compagno Fini”). Ci sono sempre sembrate opinioni prive del minimo fondamento: come è possibile credere che lo sforzo organizzativo di un evento come il G8 fosse addebitabile a un governo da poco in carica, piuttosto che a uno che per cinque anni aveva governato e promosso dirigenti e capi tra le guardie?
Genova 2001 è stata una mattanza perché le forze dell’ordine, apparentemente senza contraddizioni né gelosie, hanno perseguito l’obiettivo di annichilire i manifestanti, a prescindere dalle loro aree politiche di appartenenza. A Genova c’erano militanti con i bastoni e militanti con le mani dipinte di bianco, parti diverse di un movimento che solamente la superficialità giornalistica dipingeva come blocco coeso. Tutti sono stati attaccati, per quanto con modalità e tempistiche diverse. In uno dei migliori documenti sul decennale di Genova che abbiamo letto (“Genova, chi non è con noi è contro di noi”, sul sito www.contropiano.org), Emilio Quadrelli ha scritto:
“I manifestanti sono inseguiti, picchiati, arrestati. Le ambulanze, attaccate a colpi di lacrimogeni, bloccate. I feriti sequestrati, fatti prigionieri, trasportati nelle caserme e in carcere, molti torturati. Neppure gli ospedali sono risparmiati. Le forze di polizia entrano nei nosocomi e trascinano via coloro che vi avevano trovato rifugio”.
Proprio la tortura, come nota sempre Quadrelli, rappresenta un ulteriore aspetto che, pur importante, rischia di rimanere affogato nell’effluvio di ricordi allucinati: torturare attivisti politici e cittadini non era un’attività scontata, neppure per la tradizione delle forze dell’ordine italiane. Adottare scientificamente questa forma di sadismo (perché di questo si tratta, le torture non servivano a carpire informazioni né a ottenere confessioni pilotate) richiamava le peggiori tradizioni dei corpi militari extra-europei. Non a caso per personaggi come il capitano Claudio Cappello Genova 2001 rappresentò solamente una parentesi tra le missioni di Mogadiscio e Baghdad (dove andò con il grado di Maggiore, ovviamente meritato proprio a Genova). Chi vuol capir, capisca…
Dieci anni sono passati, le commemorazioni vanno spesso a braccetto con i revisionismi in questo Paese. Genova 2001 non fa eccezione. In uno speciale consultabile on-line sul sito di “Repubblica” Curzio Maltese fornisce un allucinante contributo: solidarizza in toto con i manifestanti massacrati, ne ricorda le sofferenze, ammette anche alcuni errori nella propria opinione nel momento in cui si stavano svolgendo i fatti (fortunatamente in quei giorni non avevamo tempo per leggere “Repubblica”: ci siamo risparmiati un travaso di bile), evidenzia gli errori nella gestione dell’ordine pubblico. Poi, però, descrive quell’universo “No global” in una maniera che ricorda molto la Resistenza descritta dall’Anpi: una sorta di nuovo Risorgimento nel quale i Buoni non hanno avuto fortuna per l’insipienza e la malvagità dei Cattivi. Fortunatamente, adesso, dopo dieci anni, i “messaggi politici” dei No global sono definitivamente accettati: dalla “green economy” al controllo statale sulle banche, da Obama a Tremonti sono tutti diventati No global, dice Maltese. Bene, allora quei manifestanti hanno vinto, alla fine? Tutti boy-scout in libera uscita, dieci anni fa? Carlo Giuliani, quando morì, non stava raccogliendo firme per la Tobin tax, stava assaltando un Defender dei Carabinieri. È bene ricordarlo, è bene rivendicarlo a voce alta.
Sarebbe altrettanto utile commentare, dieci anni dopo, le teorie politiche che animavano quei manifestanti e che li portavano a sfidare le istituzioni in quelle che sarebbero state giornate campali. Sarebbe utile, ma è un esercizio che esula da questo contributo. Ci torneremo, anche per capire – appunto dopo dieci anni – cosa ne sia rimasto, dal momento che alcuni “pensieri deboli” hanno la scadenza come lo yogurt.
Genova 2001, in definitiva, è stata una sconfitta. Non credete a chi – vittima della “sindrome del reduce” – ne magnifica il ricordo. Dieci anni fa abbiamo imparato che la rappresentazione simbolica del conflitto va bene fino a un minuto prima dell’irruzione del conflitto vero e proprio, poi è solamente pericolosa (pericolosa per chi propone il conflitto, non per chi vi oppone la repressione). Allo stesso tempo – ed è doveroso tenerlo a mente – Genova 2001 è stata anche una vittoria perché ha costituito la spinta decisiva (come indignazione, come rabbia, come volontà di emancipazione dalle ingiustizie quotidiane) per tanti compagni e compagne che a Genova non c’erano, ma che poi, dopo quelle giornate, ci sono stati. Ci sono stati sempre, con puntualità e coscienza. Quando si parla di quell’anniversario di dieci anni fa sarebbe bello ricordare che il nostro orologio non si è fermato a quella data, ma è andato avanti, con tanta indignazione in più e tanta innocenza in meno.
Noi a Genova 2001 c’eravamo. Vogliamo aggiungere che siamo tornati a casa ammaccati, ma tutti interi. Dobbiamo ritenerci fortunati: non siamo stati torturati, insultati, terrorizzati, lesi della nostra dignità. La differenza rispetto ad altri meno fortunati di noi sta forse nel fatto che eravamo – per citare ancora una volta Quadrelli – “manifestanti combattenti” e non “manifestanti inermi”. Oppure è stata una differenza solamente casuale, non leggibile sotto una qualche ottica.
Ovviamente ricordiamo Carlo Giuliani. Ricordiamo anche che con Carlo Giuliani, dieci anni fa, non si è interrotta la scia di sangue contro i compagni. Dopo di lui, in situazioni ovviamente diverse, altri ne sono morti, in questo ultimo decennio. Per rispetto verso tutti costoro, oltre che fermarci a piangere chi è caduto, ci piace pensare anche a tutti gli altri partigiani che nasceranno.
A pugno chiuso!