Venticinque anni di guerra, è ora di dire basta
Questo pomeriggio si terrà all’università La Sapienza l’assemblea pubblica di lancio del corteo nazionale di sabato prossimo contro la guerra (ore 17.00, secondo piano facoltà di Lettere). Un corteo strappato nonostante gli scetticismi e nonostante il clima politico spinga, da destra a sinistra, per l’intervento “umanitario”. È importante allora tornare a manifestare per provare ad occupare uno spazio lasciato incredibilmente deserto da ogni forza politica. Esprimere pubblicamente un punto di vista, difenderlo, provando a veicolarlo in una popolazione assuefatta al clima bellico senza soluzione di continuità, drogata da un potere mediatico che, in beffa ai venticinque anni ininterrotti di aggressioni militari in Medioriente, ci descrive come attaccati, invasi, colpiti a morte, immobili, buonisti, pacifisti, eccetera. La guerra è pace, questo il messaggio lanciato da ogni Tg o quotidiano o politico impegnato nell’impresa di legittimazione: una neolingua facilmente smascherabile (e smascherata), che però ha presa nella popolazione tramortita dall’indignazione social al sempre puntuale e quasi invocato attacco terrorista “ai valori dell’occidente”. Nonostante ciò, nessuno si aspetta numeri importanti per un corteo che avviene appunto nel deserto della politica, nella ritirata storica dalle grandi questioni epocali, sempre poco maneggevoli e perciò sempre problematiche da affrontare e da districare. In ogni caso, un qualche passo nella direzione di ri-occupare un campo politico altrimenti articolato in chiave reazionaria e/o geopolitica (il che, in fondo, è lo stesso), va comunque tentato, e va tentato con convinzione, non alleggerendosi la coscienza. Consapevoli che non risolverà alcuno dei nostri problemi, e che difficilmente romperà il muro di silenzio imposto al dissenso verso le politiche occidentali, eppure la partita da qualche parte va iniziata. Forti anche dell’esperienza recente dei cortei autunnali contro la Nato e l’Unione europea di Napoli e Firenze, capaci di mobilitare migliaia di persone su temi molto politici e abbastanza rigidi, la scommessa non è (solo) quella della riuscita di un corteo, ma dell’inizio di una mobilitazione pubblica contro le strategie belliche in Medioriente, capace di ri-organizzare un fronte composito e anche eterogeneo ma in grado di praticare un obiettivo che crediamo comune per la sinistra antagonista: bloccare l’ingerenza, quantomeno quella italiana, volta alla spartizione di intere regioni del pianeta. Proprio i cortei degli scorsi mesi hanno avuto la capacità di smascherare un sillogismo nefasto purtroppo vigente negli anfratti politici della sinistra, quello cioè per cui le questioni direttamente politiche farebbero fatica a trovare consenso tra la popolazione subalterna non più “abituata” a ragionare politicamente ma destinata a lottare esclusivamente per i suoi bisogni primari e di più immediata comprensibilità. Eppure in questi anni sembra vero l’opposto di questo comodo cliché (sotto)culturale: proprio la politica, cioè la riproposizione di un pensiero forte e di una visione del mondo antagonista e organizzata, potrebbe aggregare ciò che i processi di ristrutturazione del Capitale hanno disarticolato, cioè la possibilità di organizzare adeguatamente la classe e i suoi mille rivoli sociali in cui questa è stata dispersa. La tanto citata “ricomposizione di classe” oggi sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo visto lo scenario estremamente mutevole) passare per una condivisione di obiettivi politici che da una riorganizzazione sociale in chiave vertenziale di pezzi completamente atomizzati della classe. In fondo, la crescita e l’affermazione di un soggetto reazionario come il Movimento 5 Stelle racconta proprio questo: assente socialmente e territorialmente, incapace di inserirsi in alcuna delle vertenze di classe, è riuscito in questi anni a rappresentare un’idea di rottura con lo stato di cose presenti, acquisendo solo per questo fatto quel prestigio tale da elevarlo a rappresentante di un pezzo di subalternità sociale. Che questa rottura non sia reale e avvenga nel campo annichilente della “lotta alla Casta”, è un problema in fondo secondario nella comprensione dei motivi che hanno elevato un soggetto inesistente a rappresentare – almeno elettoralmente – il 25% degli elettori italiani. Un fatto non da poco e che andrebbe compreso nelle sue logiche più intime, piuttosto che fermarsi alla pur doverosa denuncia della sua proposta politica. Ad ogni modo, questo pomeriggio sarà un primo passaggio che permetterà di tastare con mano l’interesse reale della sinistra sul tema guerra. Il corteo di sabato non sarà risolutivo di nulla, ma il silenzio della sinistra sulla pacificazione imposta in Medioriente illumina il viatico d’irrilevanza delle ragioni storiche delle forze rivoluzionarie.