Verso il 28, oggi più che mai
Sembra impossibile crederci, ma quella del 28 giugno prossimo sarà la prima manifestazione contro l’Unione Europea e le sue politiche neoliberiste fatta in Italia nel corso di questi vent’anni. L’assenza di una presa di posizione netta contro questo sistema di sviluppo politico-economico ha determinato un vuoto politico come sappiamo occupato oggi dal M5S, dalla Lega e dall’astensionismo. Soprattutto, la perdita di credibilità totale della sinistra di classe all’interno delle proprie fasce sociali di riferimento, quelle più colpite da questo processo politico. A forza di trincerarsi dietro a fumose ed equivoche posizioni “contro l’austerità”, “la crisi”, o peggio ancora scimmiottando slogan interclassisti d’oltre oceano, la differenza di posizioni e di prospettive tra la sinistra radicale e il resto del panorama politico si è andata via via assottigliando. Tutte le forze politiche, di sinistra, di centro o di destra, si sono dette in questi anni contro crisi e austerità. Non comprendere che una retorica comune avrebbe prodotto una scomparsa delle posizioni di sinistra era francamente difficile immaginarlo. Eppure è avvenuto proprio questo. Se le parole d’ordine dei movimenti e del PD si confondono in una generica avversione all’austerità, senza indicare i responsabili di questa, non era difficile intuire che il consenso di parte della popolazione sarebbe andato verso chi, da una posizione di potere, sembrerebbe combattere tali politiche riuscendo in qualche risultato concreto. Se il nemico è l’austerità, meglio chi mette nelle tasche dei lavoratori 80 euro di chi non ha alcun potere di migliorare effettivamente le condizioni di vita della gente. E’ chiaro allora che il problema non è “l’austerità”, “la crisi” o “le banche”, ma quella costruzione politica che produce tali conseguenze.
L’annullamento del vertice contro la disoccupazione giovanile dell’11 luglio non può che dare centralità alla manifestazione del 28 quale unico momento nazionale, prima della pausa estiva, di opposizione politica al regime renziano-europeista attualmente egemone. Nonostante ciò, la costruzione del 28 sconta dei limiti tali per cui questo non può essere considerato che una prima tappa di un percorso che urge allargare, sia in senso quantitativo che qualitativo. Sebbene questa manifestazione costituisca il primo passo del controsemestre popolare, quindi un momento non fine a se stesso ma che apre (o, per meglio dire, vorrebbe aprire) una stagione di lotte che abbia come tema centrale l’opposizione alla UE, le forze in campo non bastano. Prima di tutto, parte di queste sono le stesse che hanno decretato la scomparsa della sinistra “radicale” dal panorama sociale e politico nazionale, abbandonando ogni ipotesi antagonistica e conflittuale a favore della rappresentanza parlamentare/mediatica di gestione sociale della crisi. In secondo luogo, la costruzione del controsemestre non può che porsi su un piano di inclusività politica, che aggreghi forze anziché porre paletti, e soprattutto aggreghi forze vive e non ceto politico in cerca di riposizionamento. Proprio per questo, o il controsemestre agirà su di un piano conflittuale, mettendo in pratica tale volontà d’opposizione, o fallirà nel suo intento. Sarà proprio il conflitto a stabilire la possibilità di allargamento e operare una sana selezione delle forze che lo andranno costruendo. Se infatti si rimarrà sul piano delle idee e delle sfilate pacificate, questo non potrà che costituire quel brodo da sempre foriero di tentennamenti, riformismi, inconsistenti fraseologie rivoluzionarie, vetrina di dirigenti politici che non rappresentano nessuno se non loro stessi e le miserie da cui provengono.
Siamo dunque consci dei limiti di questo percorso, ma nonostante tutto crediamo sia oggi necessario tentare questa strada. L’Italia si sta sempre più caratterizzando come unico paese europeo senza alcuna opposizione di sinistra alla UE. E’ necessario riempire questo vuoto, prima che questo venga occupato, anche da noi, dall’estrema destra, ritrovandoci con una forza al 20% che prende voti sfruttando la percezione di contrarietà popolare verso l’Unione Europea. Siamo di fronte ad una sfida importante e difficile. Percorrerla significa giocarci tanto, non lo neghiamo, soprattutto perché siamo fra i diretti organizzatori. Ma sarebbe peggio continuare ad aspettare un cambiamento che fatica ad arrivare, lamentandoci dell’assenza di un discorso politico senza mai provare ad operare un salto di paradigma. Ma serve un passo indietro di tutti per farne due avanti, tutti assieme.