Verso il corteo cittadino del 6 maggio
Il continuismo e l’immobilismo della giunta Raggi costituiscono ormai un dato politico con cui fare i conti e, allo stesso tempo, un terreno di battaglia su cui insistere. Le motivazioni che stanno dietro questo pantano sono numerose e contraddittorie: alcune attengono alla natura politica e sociale del Movimento 5 Stelle, che abbiamo altre volte messo in evidenza; altre alla questione nazionale e ai vincoli liberisti di gestione della cosa pubblica. Poi viene anche la parte di una sinistra cittadina, chiaramente non ci stiamo riferendo alle rappresentazioni residuali della sinistra partitica tradizionale, che tenta di costruire un progetto cittadino di lotta e unità su un programma alternativo ma spesso non ci riesce per spirito di frammentazione, culto dell’orticello e scarso respiro strategico. Questo insieme di fattori producono un sostanziale e paradossale immobilismo: la giunta Raggi naviga nella perfetta continuità con le precedenti gestioni, ma né le sinistre (dalle meno alle più “radicali”), né tantomeno le destre (affogate nei processi di Mafia capitale), traggono giovamento dall’attuale situazione. Non mancano certo le iniziative, e in questo senso la manifestazione cittadina del 6 ne è la rappresentazione più avanzata, ma nel complesso lo sforzo collettivo e organizzato non riesce ancora a produrre, o meglio a stimolare, un protagonismo sociale nelle periferie e per le periferie. Prima e dopo la manifestazione del 6 maggio continuiamo per forza di cose a partire dai nostri limiti. Avremmo bisogno di un confronto cittadino permanente, popolare e, soprattutto, onesto, che realizzi un progetto per la città attorno ad alcuni punti decisivi e basilari. Il punto fondamentale e, crediamo, trasversale al ristretto magma della sinistra sociale cittadina, è la lotta contro la città liberista e il suo blocco di potere, le sue rappresentanze politiche, i gruppi di affari, il paludoso apparato amministrativo che è il ventre molle della gestione continuista della città. Non possiamo limitarci a pensare e gestire gli eventi, quanto lavorare scientemente e con “spirito programmatore” alla costruzione della città ribelle, solidale e popolare. Una scommessa questa ambiziosa ma, potenzialmente, alla portata di mano persino per la scalcagnata sinistra romana. Questa città vive nelle nostre periferie, devastate dalla crisi e dalla disperazione sociale, e queste dovrebbero essere le nostre ridotte, i nostri “fortini” da cui organizzare un’alternativa sociale, organizzata, un senso rinnovato di comunità di lotta e di resistenza. Questa non può rimanere certo una dichiarazione di intenti, ma una scelta pratica determinata, giocata sul terreno della lotta cittadina. La giunta Raggi e il consiglio comunale di Roma vanno messi di fronte alle loro responsabilità sulle tre questioni centrali della città: Audit debito e rinegoziazione dello stesso; sanatoria generalizzata del patrimonio abitativo; politica di reinternalizzazione dei servizi pubblici, a salvaguardia dei livelli occupazionali martoriati dalla crisi liberista. Su questo tridente programmatico la sinistra delle periferie che scenderà in piazza il 6 maggio è chiamata a organizzarsi e produrre conflitto e, possibilmente, vittorie, non quello stanco lamento di sottofondo che assomiglia sempre di più alla radiazione cosmica di fondo: un rumore indistinto che ci ricorda vicende distanti anni luce dalla realtà (e dai rapporti di forza, aggiungiamo) attuali.