Visioni Militant(i): Lo and Behold, di Werner Herzog
Internet e la (post)modernità, il futuro della rete, l’uomo e le macchine, la rivoluzione tecnologica. Temi centrali e ineludibili della contemporaneità e del futuro prossimo, che Herzog decide di affrontare di petto attraverso un documentario con l’ambizione nientemeno che tratteggiare l’origine della rete, la sua apoteosi, il suo lato oscuro. Non potevamo allora mancare la visione di un’opera nelle premesse così intrigante. Il film è, come detto, un documentario, che attraverso l’apocalittica progressione in dieci capitoli ripercorre la “storia” di internet dalle origini degli anni Sessanta alle mille domande traverse che apre un mondo che ormai sembrerebbe (e qui il condizionale è necessario) sfumare nella virtualità e in una rete di flussi comunicativi anarchici e imprevedibili. Eppure il film si presenta quasi subito come grande occasione mancata. Non è tanto la forma documentaria il problema – sebbene rifletta un approccio equivoco all’arte, è bene ribadirlo – ma sono le domande mancate e il punto di vista che esce fuori da questa “inchiesta” a deludere. C’è un solo modo, oggi, per parlare delle rete internet: quello di sottoporla ad una critica politica, economica e filosofica che ne smascheri l’ideologia di fondo attraverso cui si legittima. La rete viene definita come “flusso”, come luogo “aperto” e “orizzontale”, “virtuale”, “immateriale”, “anarchico”, “democratico”, “reticolare” e via dicendo. Qualsiasi lavoro artistico serio dovrebbe partire dal tentativo di smontare questa autonarrazione. La rete internet è il più grande fenomeno storico di controllo sociale di massa e totalizzante. Un controllo possibile solo grazie al fatto che la rete è l’esatto opposto del luogo descritto come “orizzontale” e “aperto”. E’, al contrario, un sistema di potere ideato, prodotto e gestito da un oligopolio ristrettissimo di immense aziende multinazionali che determinano i flussi, dall’alto verso il basso e non viceversa. E’ il luogo meno “orizzontale” possibile. Oltretutto, andrebbe anche smontata certa retorica “software” che aleggia intorno alla rete: non esiste rete senza processi produttivi materiali che la creano. Non esiste rete senza milioni di operai che ne producono gli “hardware”, le componenti fisiche, la strumentazione tecnica. Ogni analisi della rete che nasconde questa realtà dei fatti è di per sé – qualsiasi cosa dica successivamente – un’analisi reazionaria e funzionale al sistema di potere.
Il film delude soprattutto nella sua indagine sul “lato oscuro”, come si intitola uno dei dieci capitoli. Il lato oscuro viene identificato col voyeurismo perverso di chi naviga; con le manie pornografiche in cui cadono numerosi giovani incapaci di staccare dalla vita virtuale; con il veleno vomitato nella rete da intere schiere di haters professionali. E’ il modo più equivoco possibile di indagare il vero lato oscuro della rete, che non sono le sue escrescenze fisiologiche – ancorché criticabili ovviamente – ma che fanno parte dei numerosi sintomi di questo lato malvagio, ma non ne costituiscono le cause. Il lato oscuro è il controllo sociale generato dalla totalizzante presenza di internet nella vita dell’uomo. Un controllo sociale che si manifesta su diversi livelli: c’è il controllo dei flussi informativi; c’è la disattivazione della partecipazione materiale, sostituita da un protagonismo virtuale anch’esso totalizzante ma innocuo per il potere; e c’è anche una forma più subliminale ma decisiva di controllo, quello che sottrae autonomia all’uomo. L’uomo di oggi – e sempre più quello di domani – sarà incapace di fare alcunché di materiale o di autonomo senza l’ausilio tecnico della rete. Un uomo che non sarà più in grado di prodursi o auto-prodursi nulla senza passare per il controllo biopolitico (per utilizzare Foucault) di una rete diretta da immense imprese private che si confondono con i servizi di controllo e repressione governativi. La rete dilegua ogni margine di autonomia, aliena l’uomo da se stesso. Ovviamente non siamo ancora ad un livello così pervasivo di controllo eterodiretto, ma la direzione sembra essere questa e già oggi se ne vedono o percepiscono ampi tratti.
Perdendo l’appuntamento con una seria riflessione sulla natura critica della rete, il documentario si smarrisce toccando i più svariati campi connessi con internet, dalla robotica alla medicina, dal fenomeno hacker all’internet “delle cose” (sic), per finire alla vita su Marte e alle altre forme di vita nell’universo. Senza una tesi di fondo, però, i vari spunti del documentario rimangono scollegati e trattati inevitabilmente in maniera superficiale, vista l’ampiezza smisurata dei vari temi. Senza una tesi critica, oltretutto, la visione di Herzog sembrerebbe essere quella di un discreto ottimismo sul ruolo della rete, sulla sua natura progressiva, nonostante alcune falle che però potrebbero essere sanate. Rimangono molte domande aperte, su cui Herzog evita conclusioni oggi difficili se non impossibili da tracciare, ma appunto, mancando una tesi critica, l’idea che si forma è quello di una sostanziale autoriformabilità progressiva dei vizi, decisamente inferiori alle virtù. Inoltre, si lascia intendere l’idea di una rete autonomizzata dai rapporti sociali. Ad un certo punto Herzog domanda ai vari esperti se “internet può pensare se stesso”, come se avesse vita indipendente e slegata dai processi produttivi che la ri-creano quotidianamente. Eppure internet altro non è che uno degli strumenti che ha assunto oggi l’economia politica dominante, e l’economia politica altro non è che lo studio dei rapporti tra gli uomini inseriti in un particolare contesto produttivo.
Non si tratta, per concludere, di avversare “luddisticamente” un’importante evoluzione tecnologica (per quanto certo positivismo tecnologico dovrebbe essere revisionato all’interno della sinistra), quanto di operare dei discorsi di senso in grado di produrre forme di controllo reali, che non rimangano imprigionate nelle narrazioni interessate del potere. Non esiste “controllo della rete” che non passi per il controllo materiale di chi la rete la produce ogni giorno: non i milioni di prosumers alienati su facebook, ma quelle cinque “aziende-mondo” che plasmano la realtà in cui viviamo, e che esistono unicamente grazie ai processi di sfruttamento capitalistico che ne garantiscono l’accumulazione economica. Herzog, torniamo a parlare dei rapporti di produzione!