Visioni Militant(i): Sole Cuore Amore, di Daniele Vicari
La crisi sociale, l’assenza di futuro, la solitudine dello sfruttamento, lo spazio vitale degli affetti aggrediti dalla cattiva vita, ma anche la volontà di andare fino in fondo a qualsiasi costo, il non farsi piegare dalla vita: questi sono gli ingredienti dell’ultimo film di Daniele Vicari. Autore che ha sempre dimostrato, a nostro parere, una certa sensibilità e attenzione verso gli umori e le storie dei subalterni. Non è la prima volta che anche il nostro cinema tenta di attraversare e raccontare l’epoca della crisi, spesso con risultati scarsi, superficiali o consolatori, altre volte con raro acume, come in questo caso, dove la realtà nella sua pallida e grigia declinazione quotidiana si mette in mostra senza illusioni e senza speranze.
E’ la storia di due donne: Eli è una pendolare che ogni giorno parte dalla provincia romana (Nettuno) per andare a lavorare in un’altra periferia, quella del Tuscolano, per sopravvivere; l’altra, Vale, una ballerina che fa performance di danza moderna nei locali notturni, vivendo una vita alternativa ma difficile. Due donne accomunate da un destino di coraggio, immerse in una realtà dura, fatta di sfruttamento, ma anche di solitudine. Un film che convince nella sua voglia di essere duro, tragico, nel descrivere la schiavitù moderna (tra l’altro ispirata a un fatto di cronaca realmente accaduto) e la barbarie dei nostri tempi, che permea la vita dell’immensa periferia sociale in cui si trovano le masse popolari.
Non c’è nessun richiamo alla possibilità di cambiare, non c’è nessun ragionamento sul senso collettivo, né un inconscio richiamo alla liberazione, quanto una condanna senza attenuanti a questo mondo criminale rivestito di tante promesse e narrazioni edificanti.
Eli è una donna che combatte con le unghie e con i denti per mantenere se stessa e la sua famiglia, ma nella sua lotta per la sopravvivenza non cede ai peggiori istinti che attanagliano coloro che si trovano nelle medesime difficoltà. Il suo spirito di solidarietà verso la collega barista straniera si esplicita non con le parole ma con i fatti, la sua è una solidarietà istintiva, sentimentale verso chi si trova nella sua stessa condizione. Vale, invece, è una ragazza che vive la sua vita senza vincoli, con un solitario coraggio, molto simile a quello di Eli, anzi spesso le due sono legate da un certo sentire comune: non si fanno scoraggiare dalla durezza della vita, ma mettono in campo un’umanità che le permette di non essere inghiottite dal degrado fisico che recinta le loro vite. Va anche detto che la figura di Vale convince meno, il suo personaggio è tratteggiato con molta vaghezza, a parte la ricerca accennata di una definizione della propria identità sessuale. Sembra che sia più un personaggio che implicitamente esiste per fare da specchio alla protagonista, che pero’ regge bene da solo.
Uscendo dalla sala si coglie un senso di disagio, in fondo questo è un buon risultato per il cinema della cruda realta’ che si propone Vicari. La rabbia viene pensando a quante donne e uomini nel nostro paese vivono nella faticosa e a volte impossibile riproduzione della propria forza lavoro. Quanto è distante questo film dalle amenità del ceto medio riflessivo, dai buoni sentimenti, dalla narrazione postmoderna della realtà che non esiste. Un risultato di non poco conto.