VOI LA RICORDATE LA “STAGIONE DEI BULLONI”?

VOI LA RICORDATE LA “STAGIONE DEI BULLONI”?

In questo quadro di offensiva dei padroni contro il diritto al lavoro, in una sorta di “soluzione finale” per annientare le conquiste sociali di quaranta anni fa, guardiamo tutti con interesse alle mosse della Fiom. Non solo adesso che scendiamo in piazza al fianco degli operai di Cassino o ieri, quando manifestavamo insieme a quelli di Pomigliano e Mirafiori. Oppure quando toccherà a quelli di Melfi, della Val di Sangro, di Termini Imerese, peraltro tutti già abbondantemente toccati, in passato, dalla mano amorevole del padrone. È inevitabile che ciò avvenga perché le decisioni dell’unico sindacato italiano con un’autentica e autonoma capacità di mobilitazione, tra quelli presenti nelle fabbriche, hanno un peso specifico importante nell’ottica della ricomposizione di classe. Un ragionamento del genere prescinde, dunque, dall’analisi sul sindacalismo di base e dalla indubbia fase di transizione che sta vivendo, come già abbiamo affermato in altre occasioni. D’altro canto sarebbe un esercizio “belluino” quello di accodarsi al trenino della Fiom senza proporre ragionamenti più ampi, almeno con la prospettiva di favorire un dibattito.

Nello specifico, il ragionamento che ci frullava in mente, quando ascoltavamo l’intervento di Landini a Bologna, era il seguente: nell’impazzimento generale che ha colto la sinistra in questo periodo storico, c’è il rischio concreto che qualcuno giudichi la battaglia della Fiom come “avanguardista”, quasi “rivoluzionaria”, mentre si tratta – a ben vedere – semplicemente (ovviamente tra virgolette, “semplicemente”) di una battaglia di retroguardia, utile, anzi necessaria per salvare il salvabile, ma niente di più. Nello specifico, l’esperienza della concertazione, dunque il famoso e famigerato accordo del 23 luglio 1993.

Quell’esperienza, che dimostrò come, quando vogliono fare la scorta ai padroni, i sindacalisti “progressisti” siano peggio dei fascisti, presentava – almeno teoricamente – alcuni obiettivi: dovrebbe far riflettere il fatto che sono gli stessi obiettivi che oggi strenuamente difendiamo in piazza e nei posti di lavoro!

Quali sono? L’attuale sistema di contrattazione collettiva (articolato su due livelli) contro la minaccia di una contrattazione territoriale e aziendale, come primo punto. L’incremento dei salari in termini reali, senza far ricadere sui lavoratori dipendenti tutti i costi della crisi (come avviene per ogni crisi), come secondo. Anzi, a quest’ultimo proposito andrebbe bene anche la semplice salvaguardia del potere d’acquisto… Tutto questo non era escluso, anzi era testualmente previsto dall’accordo del luglio 1993, anche se poi l’esperienza pratica scaturita da quell’accordo si è sviluppata in modo del tutto diverso. Eppure proprio quell’accordo provocò una serie di fortissime critiche culminate nella famosa “stagione dei bulloni”. Cosa vuol dire quanto suggerito, forse che – a ben vedere – quell’accordo non fosse così brutto come sembrava?? Assolutamente no, anzi! Noi rimaniamo della stessa opinione che avevamo, a livello più intuitivo e meno consapevole, in quel 1993-94, quando le pancette erano meno prominenti e i capelli non erano ancora bianchi: in determinate situazioni, lasciare libero un piccolo varco significa prepararsi a subire un’invasione. L’attacco dei padroni e della loro servitù ai lavoratori non è molto diverso dall’assedio a una città: basta lasciare sguarnito un pertugio per vedersi piombare dentro le mura orde di nemici. Accettare l’accordo del 1993 significò rimuovere l’idea che il conflitto regoli le relazioni in fabbrica (e nei posti di lavoro), per sostituirla con quella che l’obiettivo ultimo di una pratica sindacale consista nell’accordo con il datore di lavoro. Significa, cioè, negoziare la vaselina prima di farselo mettere al culo. Ogni congresso della Fiom successivo al 1993-94 si conclude con l’obiettivo di difendere quell’accordo. Semplicemente, adesso ci troviamo tutti dalla stessa parte della barricata…