Yoani gusana, l’hai fatto per la grana… (il video e il comunicato)
“Il successo di Yoani è testimoniato da questa sala piena di gente”: quelle di Mario Calabresi, direttore de «La Stampa» potrebbero intitolarsi le ultime parole famose. Quando la tanto attesa (e che tanto si è fatta attendere) Yoani Sánchez prende la parola le prime tre file di pubblico si alzano contemporaneamente e “occupano” la presidenza ricordando alla stessa Yoani e agli scribacchini del “capitalismo progressista” che la vera vittima di un regime non è la ben remunerata Sánchez, ma sono Gerardo, Ramón, Antonio, Fernando e René. E che il regime è quello statunitense, che li tiene imprigionati dal 1998.
C’è un Paese, in Latino America, in cui non esistono i niños de rua (i bambini che vivono in strada, il parametro più evidente di povertà e disperazione sociale), un Paese in cui i bambini non sono costretti a lavorare per aiutare la propria famiglia o addirittura per sopravvivere, un Paese in cui non si muore per fame, in cui non si è indotti al suicidio per la crisi economica, un Paese in cui gli oppositori politici non vengono torturati, né fatti sparire. Un Paese in cui l’esercito non spara contro i suoi concittadini. Un Paese, del resto, in cui lo stesso esercito non ha mai invaso un altro Stato-nazione ma, al contrario, ha sempre aiutato i popoli in lotta contro l’oppressione. Questo Paese è Cuba, ha solo undici milioni di abitanti e non gode di particolari ricchezze naturali. È un Paese che si è liberato dalla schiavitù americana nel 1959 ed è diventato socialista nel 1961, ma è un Paese che lotta da sempre per la propria libertà, indipendenza e dignità.
I cubani sono abituati a conquistare o a difendere con l’impegno politico quello che dovrebbe spettare a ogni essere umano. Conquistadores spagnoli, Presidenti americani e dirigenti di multinazionali lo hanno capito: a Cuba non si arrende nessuno.
Poi, come sempre capita (anche per la legge dei grandi numeri), a Cuba ci sono anche gli sciacalli, i vermi, i gusanos, i servi del padrone. Una di questi, Yoani Sánchez, pretendeva di insegnarci a Perugia cosa sia la libertà di stampa e come si viva male a Cuba. È quello che fa, del resto, da sempre, ben foraggiata dalla sinistra riformista che, non contenta di collezionare sconfitte su sconfitte in Europa, cerca di svilire le rivoluzioni in Latino America.
La Sánchez usa internet per dirci che a Cuba il regime non vuole far usare internet, la Sánchez viveva in Svizzera ma ha capito che è più lucroso tornare a Cuba e accusare il socialismo, la Sánchez viene contestata in ogni tappa del suo improbabile tour, ma se la cava dicendo “almeno fuori da Cuba puoi contestare liberamente”, per quanto proprio lei sia la testimonianza della pazienza del governo e del popolo cubano.
La Sánchez, invece, per quanto si faccia fotografare con la faccia dimessa di chi conosce l’inedia e la povertà, non dice che guadagna più di qualsiasi altro cubano (e di molti europei occidentali): 6.000$ mensili gli arrivano da quando è stata nominata vicepresidente regionale dell’Inter American Press Association, che raggruppa grandi agglomerati di media privati. Altre remunerazioni le provengono dalle corrispondenze con i giornali del centro-sinistra europeo (lo spagnolo «El País», gli italiani «Internazionale» e «La Stampa»): nulla di illegale, ovvio, ma quantomeno curioso per una persona che si auto-rappresenta come sotto la soglia della povertà. Non parliamo, poi, per mancanza di prove esplicite, di altre forme di finanziamento: ci limitiamo a ricordare come la Legge Torricelli e la Legge Helms-Burton permettono agli Usa di aiutare economicamente i singoli e le organizzazioni che promuovono un cambiamento dentro Cuba.
Nonostante quello che afferma di continuo, la Sánchez vive bene nella Cuba socialista e non soffre, in virtù della sua agiatezza economica, delle limitazioni che un cubano medio soffre per il criminale bloqueo USA. Sicuramente la Sánchez non vivrebbe meglio di così in una Cuba liberista e capitalista.
In compenso ci sono cinque cubani che vivono molto male negli Stati Uniti e se ne vorrebbero andare, anche se non possono contare su un blog, ma “solo” sulla solidarietà internazionalista di migliaia di compagni e compagne.
Antonio Guerrero, Fernando Gonzáles, Gerardo Hernández, Ramón Labañino e René Gonzáles sono stati imprigionati nel lontano 1998. La loro colpa fondamentale consiste nell’aver tentato di sventare attacchi terroristici organizzati dalla mafia di Miami.
Ecco, se si potesse fare uno scambio: i Cinque cubani all’Avana e la Sánchez a Washington, saremmo tutti molto contenti!
Rete dei Comunisti, Collettivo Militant, Nuestra América,
Capitolo italiano della Rete delle Reti in difesa dell’umanità